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Hatha Yoga

Riflessioni sull'evoluzione dello yoga

 

 

Quando qualcuno mi chiede che tipo di yoga insegno io rispondo: "di base Hatha Yoga".

Non è facile stare dentro una definizione.

Dal passato ad oggi ci sono state tante reintepretazioni di modelli, così lo yoga è stato mischiato, reinventato quantità di volte innumerevoli, tanto che oggi nessuno sa esattamente di che cosa si tratti.

Possiamo parlare di sport se ci occupiamo di una pratica fisica? possiamo parlare di pratica spirituale perchè cantiamo dei mantra? possiamo chiamarci meditatori perchè osserviamo il respiro e le sensazioni? Dovremmo piuttosto parlare di filosofia se ci riferiamo alla "tradizione"?

Mi chiedo ogni giorno se sia corretto parlare di yoga, quando non conosco nemmeno la lingua sanscrita per poter capire in che contesti veniva usata.

Pare che fosse in uso in testi giuridici, matematici, riferito a contesti di guerra... Il punto è che dal punto di vista grammaticale il sanscrito è una lingua molto complessa, che se non viene studiata approfonditamente rischia di essere fraintesa, o utilizzata ad uso e consumo di chi la legge!

Questo è accaduto per centinaia d'anni pare al "nostro" yoga, che è uscito dall'India per incontrare l'Occidente, e che in questo incontro ha subito una trasformazione profonda, perchè ha preso nuovi scopi, così da soddisfare nuovi bisogni, aspettative.

 

C'erano asceti, in passato, che facevano della rinuncia il loro stile di vita, la via verso una liberazione dalla sofferenza di essere uomini...

 

C'erano monaci, un tempo, che decidevano regole monastiche da seguire per redimersi e vivere nell'isolamento istituzionalizzato...

 

C'erano studiosi che cercavano di scrivere testi illuminati sulle vie della conoscenza, favoreggiando una tendenza o un altra...

 

C'erano uomini che vivevano normalmente, vite semplici e c'erano uomini a cui non bastava, ricercatori instancabili di conoscenza. Così come c'erano ricchi che potevano dedicarsi allo studio delle scritture, ma anche poveri che vivevano nella miseria.

In India, non c'era un mondo migliore di quello che c'è in qualsiasi altro posto. C'era una società, c'erano uomini e incontri tra uomini, domande, sofferenze, piaceri.

 

L'uomo è sempre uomo, sia esso vacuità, espressione divina, involucro contenitore di un'anima o semplicemente una macchina organica.

Ciò che cambia è l'intelligenza, il modo di interpretare la vita e di conseguenza l'uso di un linguaggio che è sempre diverso: questo rende le cose nuove interessanti, esotiche.

Perchè praticare yoga?

Su questo forse dovremmo riflettere.

Ci fu un giorno in cui decisi di partire per l'India.

Appena sbarcata all'aeroporto di Chennai, mi sentii irrimediabilmente a casa.

 

Quando cerco qualcosa è sempre altrove, non lì dove sono nata, non dove dovrebbero essere le mie radici. L'India ha rappresentato per me il luogo in cui mi sono realmente cominciata a rendere conto di questo processo nella mia esperienza quotidiana.

Ogni volta che ho a che fare con un turbamento, diciamo semplicemente un problema pratico da affrontare, la prima azione che intraprendo è guardare altrove, paragonare, continuamente ad  altro, altre situazioni, persone, nelle quali poter riconoscere quella stessa dinamica.

Cerco diperatamente di vedere con occhi diversi, senza realmente cambiare prospettiva. 

Cambio paesaggio, ma non cambio la lente attraverso cui lo guardo.

 

Quel giorno in cui sbarcai all'aeroporto di Chennai faceva caldo, il mio compagno ed io eravamo sconcertati dalla visione che si poneva di fronte ai nostri occhi, eppure il corpo mi diceva che ero al sicuro, come a casa.

La prima persona che incontrai fu un tassista che guidava a piedi scalzi, un immagine indelebile nella memoria di quel primo giorno in India.

 

Quando cammino a piedi scalzi mi sento a casa, radicata, stabile, consapevole, ricettiva.

Dove sono i miei piedi ogni volta che mi perdo nella costruzione di un problema?

Diversamente da quanto avrei immaginato non è sufficiente camminare a piedi nudi per essere presenti alla propria stabilità corporea, tantomeno a quella mentale: ogni volta che il pensiero è sulla via dell'ossessività, sbatto i piedi dappertutto, contro le zampe dei tavoli, gli spigoli delle porte, inciampo.

 

Il taxi ci condusse verso il luogo in cui un amico aveva riservato per noi una stanza. La seconda persona che attirò la mia attenzione fu una donna che sputò del tabacco da masticare verso il finestrino del taxi. Seconda fotografia stampata nel cervello. Perchè sputò verso di me, noi?

 

Quando i pensieri diventano ossessivi vedo una sola direzione e come i cavalli procedo come se il mondo fosse bidimensionale. Continuo a pensare solo io, a ciò che è mio, ciò che succede a mé. Mi dimentico di tutto quello che a 360° è visibile. Il corpo allora agisce nell'unico modo in cui può agire, manovrato da quell'unica lente attraverso cui vedo e si logora, si ammala di ferite, contusioni, dolori apparentemente inspiegabili.

Ma quel corpo sono io, quella mente sono sempre io, tutto quell'essere in movimento che agisce, pensa, osserva sono io. Non c'è via di fuga.

Non c'è luogo in cui corpo/mente possa scappare, né in altre terre, né nell'immaginazione.

 

In India, le immagini di quel tipo continuarono a scolpirsi anche quando tornai a visitarla. Una dopo l'altra delinearono un racconto della mia esperienza di India, un personale racconto fatto di interpretazioni e schemi costruiti e decostruiti in continuazione...

 

Giorno dopo giorno pensieri, parole, azioni definiscono schemi che cerco di decostruire e che pure costruisco di nuovo, continuamente. Tremendamente intricato il filo che tiene insieme tutti i pezzi della vita!

India è per me "anarchia organizzata".

Per questo in India mi sento a casa.

C'era una volta in India...

Esperienze di viaggio, tra  partire e restare

 

 

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